giovedì 29 novembre 2007

UBU SETTETE - 15/11 - IX SERATA





GIOVEDI' 15/11, dalle 20.45 - RIALTO S.AMBROGIO (itinerante tra le varie sale)

Compagnia Denoma
La festa di Santa Barbara (abluzione – consacrazione – ascensione)
Liberamente tratto da un testo di Giulio Marzaioli. Regia, scene, costumi e interpretazione di Romina De Novellis.
Santa Barbara, protettrice dei minatori, presente nei cantieri minerari come statua. Da un’esperienza presso un cantiere dell’Appennino Tosco-Emiliano, nascono quadri in movimento di preparazione della Santa alla sua festa.






GIOVEDI' 15/11 h.22.00 - RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

KanterStrasse
Le dinamiche dell'odio
Di Simone Martini e Leonardo Giusti. Regia di Luca Avagliano. Con Simone Martini.
La violenza è veloce, ti prende e ti lascia forse senza conseguenze. L’odio no, è lento, ti corrode e non ti abbandona. Da storie realmente accadute, questo spettacolo indaga uno degli aspetti più misteriosi del comportamento umano: l’odio.





GIOVEDI' 15/11 h.23.00 - RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

Daniele Timpano
Ecce Robot! Cronaca di un’invasione
Drammaturgia, regia, interpretazione di Daniele Timpano.
Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (Jeeg Robot, Mazinga, Goldrake) lo spettacolo ripercorre per frammenti l’immaginario eroico di una generazione cresciuta davanti alla Tv.

mercoledì 28 novembre 2007

UBU SETTETE - 14/11 - VIII SERATA





MERCOLEDI' 14/11 h.21.00 - RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

Kataklisma
Buffet
Drammaturgia e regia di Elvira Frosini. Con Carla Coccia, Alessandra Di Lernia, Simona Muratori, Veronica Sferra.
Un buffet. Cibo continuamente mangiato, stralci di quotidiano deformato, mai vissuto autenticamente, piccoli orrori contemporanei. È una ricerca sul mostruoso che si rinviene dietro la realtà opaca, un grande vuoto...

quattro performers in un vuoto imprescindibile hanno come unico appiglio un buffet: cibo continuamente mangiato, stralci di quotidiano deformato mai vissuto autenticamente, piccoli orrori contemporanei, leggeri, abituali, impercettibili, niente di grave. Le azioni si ripetono, si deformano, si lasciano guardare. E’ una ricerca su quel tanto di mostruoso che, scavando, si rinviene dietro la realtà opaca, un grande vuoto..
Buffet fa parte del progetto “Politicalbody – (Tracce di cedimento)” che nel 2007 fa seguito al progetto “Tracce” iniziato alla fine del 2005, proseguendo la ricerca sulle forme della rappresentazione e della comunicazione nei nuovi linguaggi del teatro e della drammaturgia contemporanea. Il progetto dà vita a performances, lavori teatrali, articolazione di performances “site-specific”.
Politicalbody continua nella ricerca sul corpo inteso come incrocio spazio-temporale di cultura, convenzioni, rapporti di potere, comunicazione, politica dunque. Il lavoro si immerge nella vita e nelle azioni dei corpi come soggetti-oggetti politici, partendo dal corpo e dalle dimensioni simboliche, comunicative, rituali e sociali, inoltrandosi nelle dimensioni del paradosso, del non ovvio, della necessità e della relazione stretta tra atto-corpo e la visione, e dunque la dimensione della rappresentazione.

KATAKLISMA teatro
Via G. De Agostini 79 - Roma - Italy
www.kataklisma.it





MERCOLEDI' 14/11 h.22.00- RIALTO S.AMBROGIO (auditorium)

Sonia Barbosa e Roberto Cardone
O Porto a Napoli
Da F. Pessoa, A. Patricio, E.A. Mario, E. Petrolini. Drammaturgia, regia, interpretazione di Sonia Barbosa e Roberto Cardone.
Dal Portogallo a Napoli. Basta un piccolo salto e si è nello stesso spazio emotivo, dove le due atmosfere si mescolano, complici. Così è questo spettacolo: un viaggio musicale e poetico fatto di passaggi e scivolamenti tra i nostri due mondi…





MERCOLEDI' 14/11 h.23.00- RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

Eccentrici Dadarò
Un soggetto per un breve racconto
Liberamente ispirato a Il Gabbiano di A. Cechov. Di Fabrizio Visconti e Rossella Rapisarda. Regia di Fabrizio Visconti. Con Rossella Rapisarda.“Un soggetto per un breve racconto”… così Trigorin definisce Nina nel Gabbiano di Cechov. Per noi è molto di più: Nina è una sorta di specchio, perché la sua è la storia di tutti, di tutti noi quando facciamo i conti con i nostri orizzonti.

“Un soggetto per un breve racconto”…però scritto come le pagine di un diario, senza il tono del narratore distante, ma con la presenza, la passione di chi svela a se stesso i propri segreti, per poi farci i conti. E come tutte le pagine di diario, quello che resta sono parole intime, a volte confuse, raccolte di pensieri e di passioni a tinte forti, che hanno lo slancio dei sogni…e poi il sorriso che nasce rileggendole.
Sognare, farlo fino in fondo. Scommettere ogni cosa. Cadere. Fermare tutto per guardarsi allo specchio: diversi. E allora?
“Un soggetto per un breve racconto”… così Trigorin definisce Nina nel Gabbiano di Cechov.
Per noi è molto di più: abbiamo voluto fare di Nina una sorta di specchio, perché quella di Nina è la storia di tutti, almeno di tutti noi quando facciamo i conti con i nostri orizzonti.
Un monologo forse per due, un’attrice monologante e un’ombra, un fantasma, un personaggio… ma a volte, in teatro, i personaggi della fantasia sono fantasmi più vivi e più veri d’ogni cosa viva e vera… E così il percorso dell’attrice attraversa, incrocia, affianca quello di Nina, se non altro nelle domande, nelle incertezze di quella stessa scelta di vita.

Eccentrici Dadarò nascono nel 1997. Concentrano la loro attività nell'ambito della produzione di spettacoli caratterizzati dalla fusione di tecniche teatrali differenti (teatro d’attore, clownerie, musica dal vivo, commedia dell’arte, acrobatica, arti circensi).
Proprio questo elemento di eterogeneità ha permesso la realizzazione di progetti artistici destinati a tipologie di pubblico differenti e proposti con linguaggi distinti, a cui si è aggiunta la progettazione e conduzione di percorsi educativi rivolti all’infanzia e a chi opera nel settore.
Collaborano da alcuni anni con EATC (European Association for Theater Culture) diretta da Jurij Alshitz nella creazione e realizzazione di progetti e produzioni internazionali destinati a promuovere e sviluppare la ricerca e la cultura teatrale.

Vincitori del premio del pubblico Festival di Vevey (CH) 2003
Vincitori del Festival Benevento Città Ragazzi 2004
Vincitori dei premi della critica e del pubblico del Festival di teatro di strada
(Ascona 2004)
Premio ETI Stregagatto Edizione 2004 - Visioni d'infanzia MIGLIORE COMPAGNIA EMERGENTE
Primo premio Eolo Awards 2006
Premio Nazionale per il Teatro Ragazzi
MIGLIORE SPETTACOLO ITALIANO: “Per la strada”

L’Associazione collabora all’organizzazione di Rassegne Teatrali quali: dal 2001 al 2004 Teatrarte (Brescia), dal 2003 Teatro+Tempo Presente (Teatro Binario7 di Monza, in collaborazione con La Danza Immobile), dal 2002 Ma è una storia vera? (Teatro del Cenacolo, Lecco), dal 2005 C’era una volta...e quindi ancora c’è! Comuni prossimi a Saronno; organizza, inoltre, giornate ed eventi di Teatro di Strada nei Comuni lombardi.
Nel 2004 inizia la collaborazione con la Fondazione Gaber per la diffusione della conoscenza del personaggio e dell’opera di Giorgio Gaber.

Associazione “Eccentrici Dadarò”
via Don E. Uboldi 174 – 21042 Caronno Pertusella (VA)
www.glieccentricidadaro.com - info@glieccentricidadaro.com

lunedì 12 novembre 2007

UBU SETTETE - 13/11 - VII SERATA





MARTEDI' 13/11 h.21.00 - RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

Daniele Timpano
Ecce Robot!
Cronaca di un’invasione
drammaturgia, regia, interpretazione di Daniele Timpano
ispirata liberamente all’opera di Go Nagai
musiche originali di Michela Gentili e Natale Romolo ispirate liberamente all’originale colonna sonora di Michiaki Watanabe
disegno luci e voce narrante di Marco Fumarola
registrazioni audio effettuate presso il Rialto Santambrogio di Roma
montaggio audio a cura di Lorenzo Letizia
editing e missaggio a cura di Marzio Venuti Mazzi
aiuto regia di Valentina Cannizzaro e Marco Fumarola
organizzazione di Maria Rita Parisi
Progetto grafico di Alessandra D'Innella
foto di scena di Antonella Travascio
una produzione di amnesiA vivacE in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi

Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (Jeeg Robot, Mazinga, Goldrake) lo spettacolo ripercorre per frammenti l’immaginario eroico di una generazione cresciuta davanti alla Tv.


"Ero bambino, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando arrivarono in Italia i primi cartoni animati giapponesi. Era l'Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse e dell'ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni, ma questo io non lo sapevo ancora. Ignaro di trovarmi nel bel mezzo degli anni di piombo, vivevo l'infanzia tra robot d'acciaio."

"Colpisce per una certa sua aguzza stramberia Ecce robot! dell’estroso Daniele Timpano, quasi un autoritratto generazionale attraverso Mazinga Zeta a e altri cartoni animati giapponesi: vestito di un’assurda tutina bianca, coi suoi gesti sghembi e i suoi toni deliranti, il giovane attore alterna la compunta ricostruzione di lotte fra mostri meccanici a spiazzanti scorci autobiografici: si ricordano le crociate democratiche e progressiste contro questa invasione televisiva, per concludere che i litigi dei genitori e la solitudine dei figli facevano forse più male."
Renato Palazzi – Il Sole 24 ore

"…gli anni ’80 resuscitati da Timpano con misurata ironia in una messinscena ondivaga che si muove tra ‘riflessione su’ e ‘rappresentazione di’ quei furiosi incontri con le gesta di Mazinga e soci […] L’aspetto più interessante che restituisce Timpano nel suo spettacolo, frutto del suo essere attore trasversale, dalla gestualità sbrigativa, epigrammatica, sempre significante, è quello strano senso di nostalgia per quell’età di grandi sfide galattiche e di rivoluzioni d’acciaio che […] ci fa solidali con lui. Di bianco vestito, Timpano doppia se stesso quando interpreta in pose plastiche ed eroiche, col solo aiuto di tagli di luce colorata e di una ricca colonna sonora di effetti, le gesta dei suoi beniamini giapponesi, salvo poi trasformarsi in affabulatore […] quando il suo pensiero corre, ribellandosi, ai presunti ‘guasti’ che quella civiltà del piccolo schermo avrebbe, secondo la morale corrente, procurato".
Enrico Marcotti – Libertà

"Rilegge la realtà e le contraddizioni di una generazione ‘senza storia’ attraverso l’invasione dei cartoon giapponesi sulla Tv italiana degli anni ’80. In una divagazione come sempre solitaria, il performer romano ha alternato il linguaggio dei fumetti ai clichè del giornalismo televisivo. Ma soprattutto ha riconfermato il suo talento stralunato, capace di trasformare anche il disagio in uno strumento di irresistibile comicità".
Giorgia Mordanini – 24 minuti

"A coinvolgere non è tanto ciò che dice questo singolare bipede da palcoscenico, quanto quello che lascia intuire attraverso la sua disarticolata gestualità, apparentemente anarchica e invece puntuale, allusiva, irresistibile. […] un’ironia così galoppante e acuta […] lancia in resta come un magico cavaliere, a liberare i pensieri nuovi dalla condanna degli schemi, stanando annichilenti fantasmi e feroci, castranti, creature. […] l’autore guarda dritto in faccia l’infanzia della sua generazione e i miti televisivi sui quali è cresciuta, per consegnare schiettamente le conclusioni del suo studio allo spettatore. […] l’attore in scena trasforma sé stesso in un fumetto nipponico […] mediazione mimica del corpo di Timpano che interpreta 3 o 4 personaggi scattosi e riflessivi, invasati da opprimenti ideali eroici […] L’attore ce li consegna così, nudi nella loro incongruenza e teneramente esilaranti […] La riflessione prende allo stomaco, in mezzo alle risate: ‘sottoprodotti della cultura di massa sono stati invece miti e modelli di riferimento, occasione di spunti, di traumi, di crescita o viceversa di rimbecillimento di tutta una generazione’. Parole di Timpano, da condividere o meno, finchè non lo vedete in scena: lì non c’è dubbio: la pace nel mondo e i buoni sentimenti sono nelle mani di un pugno di schizzati…"
Daniela Pandolfi – dramma.it

"Il lavoro è una ricchissima fonte di informazioni sul tema, ricerca attenta e documentata, con una sottile ed arguta analisi dell’Italia che ne venne invasa. […] uso efficace del playback che permette l’asincronia del labiale e della gestualità rispetto alla voce. […] è assolutamente esilarante […] osservare le posizioni stigmatizzate di ciascun personaggio […] in un palco vuoto, con il solo ausilio delle luci ad effetto. […] La narrazione procede con lo stile, caricaturato, dei documentari d’epoca, avvincente nella forma e nel contenuto, carico di descrizioni e riflessioni in rapidissima successione. Impossibile distrarsi […] lungo la surreale descrizione di una vana crociata di genitori ‘papà e mamme uniti contro il maligno catodico nipponico che monopolizza i figli d’occidente’ o durante la citazione di incredibili articoli dell’epoca, patetici testi dai toni apocalittici, che vedono i cartoni giapponesi minare la semplice e banalmente felice vita familiare italiana".
Donatella Codonesu – teatroteatro.it

"Accompagnato da ombre e luci minimali ma efficaci, sullo sfondo di un palco vuoto, trova una straordinaria chiave di ironia corporea che lo rende unico. Capovolge e trasforma quello che potrebbe essere un suo punto debole come un fisico esile, giocando proprio sul paradosso e sul ridicolo che diventano parte di una sofisticata drammaturgia. […] C'è chi lo definisce un dadaista o un futurista. Effettivamente Daniele Timpano sembra assolutamente uscire da un cilindro magico nel suo vivere e interpretare naturalmente l'assurdo. Guarda il mondo dal suo sguardo sincero, vispo e acuto, senza imbottirsi di ideologie. Tutto ciò che dice e che fa gli appartiene visceralmente e per questo arriva al pubblico".
Alice Calabresi – il cassetto.it

"Ha centrato il bersaglio l’astuto e a tratti geniale Daniele Timpano di AmnesiA VivacE […] La messa in scena, agile e senza fronzoli, è tutta giocata sul giovane attore che, con una fisicità elastica, quasi una danza, ripercorre gli episodi salienti della vita del suo eroe d’acciaio e di tutta la mobilitazione sociale e politica contro i valori guerrafondai e mortiferi trasmessi da quei cartoni animati a basso costo […]Il retrogusto acidulo, il senso pratico e il sano cinismo con cui questa storia viene raccontata […] fa assumere una sorta di tono politico a questa piéce".
Alessia Raccichini – lettera22.it

"Un acrobata della drammaturgia guidando il pubblico fra i suoi ricordi, le sue ri-elaborazioni, i suoi pensieri […] Acrobata del senso, che ci conduce dalle brigate rosse alla sigla di Candy Candy, da appunti di cronaca ad approfondimenti sociologici. Acrobata della lingua, che può esplorare ogni tono, ricollegare ambienti distanti, trasformarsi davanti a tutti, scavalcare registri e poi ritornare al pubblico. E poi acrobata del mimo, acrobata della parola e di parola […] mimando tutti i personaggi e seguendo il playback delle proprie voci in rigoroso stile cartoon […] questa ‘super-marionetta’ sorprendente"
Roberta Ferraresi - bisteatrofestival.splinder.com

" […] Il lavoro prodotto da Amnesia Vivace si gioca su un doppio registro: da una parte la rivalsa di Timpano, nato e cresciuto con Cartoons giapponesi evidentemente doppiati con una certa grossolanità. L'attore assume posture stilizzate che restituiscono visivamente la trama dei dialoghi di alcuni episodi del cartone, doppiati dalla voce di Timpano rimandata in audio come se provenisse da un qualche recondito luogo interiore. Dall'altra, dicevamo, un'analisi quasi scientifica, con tanto di dati e date, sull'invasione giapponese in tempi di stragi e ascese berlusconiane. Ora Timpano si diverte a scimmiottare altri clichè delle narrazioni odierne, dalle sedie con lampadine romane agli incipit televisivi da inchieste giallistiche ("A Imola, nei giardinetti, i peschi erano in fiore"). A questa volontà a metà tra la decostruzione ironica e il saggio sociologico, trasportata da un corpo marionetta in cui la mobilità degli arti e delle giunture marca una personale cifra d'autore, corrisponde il nocciolo del lavoro: per Timpano i cartoni sono stati, come per molti trentenni di oggi, la sede formativa privilegiata; senza cartoni non sarebbe diventato un attore. La mutazione, o la rimozione che ha colpito anche altri aspetti dei famigerati anni '80, c'è stata e continua a operare."
Lorenzo Donati - Altre Velocità

Daniele Timpano Autore-attore, regista. Daniele Timpano nasce a Roma il 18 maggio del 1974. Frequenta il biennio di recitazione presso il Conservatorio teatrale di G. B. Diotajuti e M° Antonio Pierfederici. Seminari con Fiorella D'Angelo (mimica Orazio Costa), Alfio Petrini (drammaturgia- Teatro Totale), Luca Negroni (commedia dell'Arte), Luis Ibar (direzione scenica). Come attore ha lavorato con Michelangelo Ricci (Finale di Partita, La Meglio Gioventù, Ubu Re), Carlo Emilio Lerici, Francesca Romana Coluzzi, Massimiliano Civica (Grand Guignol). Ha collaborato con diverse compagnie, tra le quali il 'Teatro dell'Assedio' (attuale 'Teatro del porto') di Livorno, 'OlivieriRavelli teatro' e 'LABit- Laboratorio ipotesi teatro', di Roma.
Fondatore del gruppo 'amnesiA vivacE', è autore-attore di diversi spettacoli, tra i quali: Storie di un Cirano di pezza; Teneramente Tattico; Profondo Dispari; Oreste da Euripide; caccia 'L drago da J. R. R. Tolkien (spettacolo vincitore della terza edizione del premio Le voci dell'anima - incontri teatrali); Gli uccisori del chiaro di luna - cantata non intonata per F. T. Marinetti e W. Majakovskij ; dux in scatola. Autobiografia d'oltretomba di Mussolini Benito (finalista Premio Scenario 2005 e pubblicato in volume da Coniglio Editore nel 2006); Ecce robot! cronaca di un'invasione. Coordinatore dei laboratori teatrali, letterari e musicali Oreste ex Machina (2003), Gli uccisori del chiaro di luna (2004) e Fiabbe Itagliane (2005), finanziati dall'Università degli studi di Roma "la Sapienza". Un suo testo, Per amarti meglio!, è stato finalista nella rassegna "Napoli drammaturgia in festival 2001". È redattore (e collaboratore) della rivista on line www.amnesiavivace.it e di Ubu Settete, periodico di critica e cultura teatrale sul teatro "underground" romano a diffusione gratuita. È tra gli ideatori e organizzatori della rassegna Ubu Settete – fiera di alterità teatrali romane. Dell’edizione del 2003 è stato direttore artistico.
amnesiA vivacE (area ricerca ritrovamento e altro) amnesiA vivacE si occupa di teatro, musica, filosofia ma – soprattutto - di altro. Gli spettacoli di amnesiA vivacE sono tutti concepiti lungo una linea di ricerca anche musicale, di integrazione tra testo/corpo/note in un continuo disequilibrio tra partitura codificata ed improvvisazione. amnesiA vivacE ha tenuto laboratori teatrali, letterari e musicali presso l’Università "La Sapienza" di Roma ed è tra gli organizzatori, assieme ad altre compagnie del Nuovo Teatro romano, della rassegna teatrale UBUsettete! Fiera di alterità teatrali romane, che giunge quest’anno alla sua quarta edizione.Tra gli eventi extra-teatrali: Scrivere l’Es (ciclo di incontri, performance, concerti sul rapporto tra inconscio e scrittura letteraria e musicale, con interventi di Sylvano Bussotti, Ben Watson, Esther Leslie, Roberto Terrosi); ICE-Z 2 - International Conference of Esemplastic Zappology (la seconda Conferenza Internazionale di Zappologia Esemplastica organizzata in collaborazione con Debra Kadabra e Psicopompoteatro); Impressioni dal cosmo (parole e immagini dai partecipanti per l’Italia alla 11° Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo, Atene 2003); mostre di fotografia, presso la libreria Odradek di Roma (Photo Pride, sul Gay Pride, La Dama e la Candela, Io statua, sul museo della Montemartini, col patrocinio del comune di Roma). amnesiA vivacE dal 2001 è una associazione culturale, con sede in Roma, che riunisce le esperienze di Daniele Timpano (autore, attore, regista), Marco Maurizi (filosofo, musicista), Valerio Cruciani (autore, fotografo), Costantino Belmonte (poeta, estetica del web), Natale Romolo (musicista, compositore), Francesca La Scala e Valentina Cannizzaro (attrici), Fabio Massimo Franceschelli (autore), con la libera collaborazione di Michela Gentili (cantante, danzatrice), Simone Mancini (grafico), Marzio Venuti Mazzi (musicista, tecnico del suono). amnesiA vivacE Dal 2002 è anche una rivista on line di teatro, critica dell'arte e della società a cadenza trimestrale (
www.amnesiavivace.it)

Per informazioni e prenotazioni:
amnesiA vivacE/Maria Rita Parisi cell. 347.0069645 -
mariaritaparisi@gmail.com
Ubusettete/Laura Neri cell. 347 4716598 - laura.neri@gmail.com





MARTEDI' 13/11 h.22.00- RIALTO S.AMBROGIO (auditorium)

Teatro Forsennato
Makilè - la bambina nel grande serpente
Drammaturgia e regia di Dario Aggioli. Con Stefania Papirio e Trio Naga.
La visione fiabesca di una bambina si sposa con la realtà di Corviale, il palazzo di un chilometro che a Roma chiamano il “Serpentone”. Aprire gli occhi e vivere il mondo che si ha di fronte o chiuderli e sognare un mondo irreale?

Teatro Forsennato è un gruppo teatrale nato spontaneamente nel 1999 e divenuto associazione nel marzo del 2004.
Il lavoro del Teatro Forsennato è, da sempre, basato sull’uso dell’improvvisazione su canovaccio. Altro punto fondamentale del lavoro è la visione dello spettatore come parte integrante della performance.
Questi due aspetti sono finalizzati a riportare la performance teatrale ad una dimensione di evento, che per ogni replica è unico e possibile solo in quel momento e in quel luogo.
La ricerca continua dell’utilizzo di ogni linguaggio teatrale ha portato a performance e istallazioni sensoriali e ad ensemble tra improvvisazione musicale e teatrale; senza, in ogni caso, disdegnare la contaminazione con il teatro di denuncia o di narrazione o altre forme teatrali tradizionali.
I membri fondatori del Teatro Forsennato sono Dario Aggioli, Stefania Papirio, Maurizio Picanza e Giorgia Rocchi, ma insito nella natura stessa del Teatro Forsennato è la possibilità di confrontarsi con altri attori e artisti di ogni tipo.
Con Sisifo è in pausa caffè – Selezione Premio Scenario 2005, il Teatro Forsennato ha raggiunto una maggiore visibilità a livello nazionale.
Attualmente con lo spettacolo San Giorgio, il Drago, è di nuovo ammesso alla semifinale del Premio Scenario 2007 (ancora in corso).
Gli spettacoli in repertorio sono Sangue Palestinese in scena dal 2003, Le figurine mancanti del 1978 e Makilé – la bambina nel Grande Serpente.





MARTEDI' 13/11 h.23.00- RIALTO S.AMBROGIO (sala teatro)

Biancofango
I passanti
Drammaturgia e regia di Andrea Trapani e Francesca Macrì. Con Andrea Trapani e Lorenzo Acquaviva.
Due uomini si incrociano. Si guardano, si notano. Uno di loro sarà ossessionato da quello sguardo e, con fatica, se ne libererà. L’altro ci passerà sopra. Non tutti gli occhi dipingono quadri. Talvolta guardare può voler dire sorvolare.

UBU SETTETE - 11/11 - VI SERATA






DOMENICA 11/11 h.18.30 - TEATRO FURIO CAMILLO

Immobile Paziente
Con Chi
Drammaturgia, regia, interpretazione di Valerio Malorni.
"…un assolo con tendenze all'amicizia. Storia di un credente che vorrebbe poter comunicare, favola di un eroe che si scorda di essere uomo, e rimane solo, perduto nel mondo, tra necessità e possibilità".








DOMENICA 11/11 h.21.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Ketty Russo
Af-filia; In ballo
Coreografia di Ketty Russo. Danza di Ketty Russo.
Af-fila ed In ballo sono due dei tre brani di un progetto ancora in corso. Af-filia: Nella ricerca della relazione tra le parti, il filo interno tesse il sentire del tutto. In ballo: Entrare nel movimento per trovare un altro ordine.










DOMENICA 11/11 h.22.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Keramik Papier
Verranno a prenderti
Drammaturgia di Keramik Papier. Regia di Danilo Morbidoni e Sara Panucci. Con Michela Iori, Sara Panucci, Valerio Tani.
La lotta tra icona e imperfettibilità si fa resistenza, sforzo fisico, estrema fragilità. E danza, senza la forma della danza, emozioni senza emotività. Un uomo, una donna, una donna. Carne alla carne.

Sintatticamente Verranno a prenderti risponde ad un esigenza di codificazione rispetto alla riflessione sulla cultura di massa e del consumo che stiamo portando avanti. (Gli Orchi; Enter; inutile).
Qui la scrittura scenica è frammentata dalla presenza dello spazio/immagine e dello spazio/corpo.
Sono entrati a far parte del processo creativo testi e studi antropologici e sociali che hanno ampliato la nostra ricerca sull’uomo/residuo passivo.

“La vetrinizzazione sociale ovvero il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società” (di V. Codeluppi) identifica il fuoco dell’analisi, spostandola dai mass media.
La riflessione sul consumismo si esprime nel tempo della scena.
Il processo di improvvisazione che si costruisce durante le prove ha avviato un percorso intimo che passa per strade differenti: non più l’uomo all’interno di uno status sociale di cui è vittima, ma operando un ribaltamento, l’uomo che definisce nella sua determinazione più arcaica la società.
Gli attori costruiscono attraverso la loro presenza disemotiva (rafforzata dall’assenza espressiva) la struttura, che non è gerarchica ma aperta e riassemblata.

Chi agisce nutre di sottrazione la scena, libero (in partiture) di creare una relazione riservata, reale e sensibile alle dinamiche contingenti, generando unicità del momento scenico.
Immagini di corpi in bilico tra disciplina e immaginazione, sopportazione fisica, esitazioni, gravitazione, coincidenza e libertà, possibilità.
Controllo del corpo da un lato, dall’altro estrema fragilità.
Poetica senza poesia, emozioni senza emotività.
Un uomo, una donna, una donna.

L’estratto presentato è una fotografia del lavoro allo stato attuale.
E’ complesso presentare lo sviluppo successivo.
Vengono recuperati, lavorando sulla superfetazione, diversivi che portano alla disgregazione delle scene ordinarie.
Erwin Wurm, artista minimalista e concettuale, entra quasi per empatia in questa ricerca.
Tale approccio ironico(autoironico) all’arte, l’uomo e la società veicola nel nostro lavoro una provocazione consapevole.
Certamente approderemo una scarnificazione.
Tutto il processo sottintende una sospensione, si fonda su una poetica dell’attesa che produce vuoto, sottrazione, fino alla nudità.
Carne alla carne.



performance, teatro vascello


primo spettacolo TeatrAria


performance TeatrAria

UBU SETTETE - 10/11 - V SERATA





SABATO 10/11 h.21.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Compagnia Quotidiana.com
MeDeo
meglio essere una pecora nera che una pecora e basta (il teatro dell’orrore in un orrore di società)
Di Paola Vannoni. Regia di Roberto Scappin. Con Roberto Scappin e Paola Vannoni.
Se Medea è un’eroina tragica, MeDeo è una tragedia attuale. Non mostro, non alieno, ma parto di una società in raptus costante. Smembrare un mito antico per ritrovarvi tutto il nostro orrore.

L’associazione culturale Quotidiana.com si costituisce a Rimini nel 2003. L’attività prevalente si esplica attraverso l’omonima compagnia teatrale parallelamente alla produzione video.
Il nucleo attivo dell’associazione è costituito sostanzialmente da due persone: Paola Vannoni e Roberto Scappin
Roberto Scappin, dopo aver dedicato più di un decennio alla professione d’attore, impegnato in produzioni teatrali dal Gruppo della Rocca al Teatro degli Incamminati, mette in discussione il teatro di prosa da cui proviene rilevando il limite impiegatizio dell’apparato degli stabili e l’ assenza di quell’ impegno sociale che comincia invece a intravedere come requisito fondamentale per l’artista.
Sceglie così per una frattura totale, dalla professione e dal territorio, convinto che qualsiasi mestiere gli procurerà minor sofferenza che sentirsi la pedina di un teatro che celebra se stesso mentre muore.
In Romagna ritorna cautamente a guardare al teatro da un’altra prospettiva, provando a ricostruire un percorso sulle basi di un ideale artistico e sociale, chiaro e scomodo: sollecitare attraverso il teatro una riflessione sui temi che, da sempre, scatenano divisioni: amore, denaro, potere.
Paola Vannoni fonda le sue basi artistiche prevalentemente sulla scrittura che approfondisce attraverso corsi di drammaturgia, sceneggiatura, scrittura comica, metodo John Gardner. Il passaggio al teatro dalla danza contemporanea avviene dall’incontro con Marco Baliani nelle “Antigoni della terra” (Bologna 1992), a cui partecipa nel gruppo di danzatori. Questa esperienza di teatro politico e di profondo impegno civile segnerà tutto il suo futuro percorso. Nei laboratori che frequenterà in seguito ritroverà raramente, nelle persone e nelle idee, una equivalente consapevolezza della responsabilità dell’arte; questo rappresenterà uno stimolo a proseguire ancora più tenacemente su questa strada.
La forte motivazione politica che è alla base del nostro teatro, non è però disgiunta da una ricerca estetica e di linguaggio imprescindibile dalla materia artistica; la vera bellezza sta forse nella ricerca di una verità libera da condizionamenti e controllo, coraggiosa e oltraggiosa.
Termini come profitto e consenso non dovrebbero condizionare l’artista il cui ruolo, se non siamo nell’era dei ruffiani, è quello di smascherare e denunciare, attraverso un personalissimo punto di vista, le degenerazioni del suo tempo: contro la mercificazione dell’arte, contro la deriva del pensiero.

Produzioni teatro: 2003 “Solo” da Pasticcio di Merli di Raymond Carver;
2004 “La stanza dell’esigenza” – Argo Navis 2003-2004
2006 “Carcasse – il mondo è pieno di significati abbandonati” Argo Navis 2005-2006.
2007 “MeDeo – megio essere una pecora nera che una pecora e basta”
Produzioni video: 2002 “Et-cetera” cortometraggio, spazio Torino Film Festival
2003 “Sulle cose del sesso” documentario, Anteprima Bellaria Film F.
2005 “Uomodonna” cortometraggio, Anteprima Bellaria Film Festival (menzione della giuria)
2005 “Ex-voto” 150” a tema fisso Anteprima Bellaria Film Festival
2006 “Figlio”, mediometraggio.

La figura della Medea di Euripide ci conduce direttamente al “teatro dell’orrore”.
Se la sua tragedia può essere collocata senza forzature nel tempo presente, modificare la sua identità sessuale ci consente di esplorare da una diversa prospettiva un dramma che sembra non potersi disgiungere dalla natura umana.
Pur ritrovando ai nostri giorni episodiche figure tragiche di moderne Medee, è infatti il corrispondente maschile ad attirare la nostra attenzione per il suo rinnovarsi esasperato nella cronaca quotidiana.
Uomini che in seguito alla separazione/abbandono individuano come unica soluzione al disagio la soppressione fisica della moglie e spesso anche dei propri figli.
La lista dei delitti familiari e degli infanticidi, continua al ritmo di circa 220 all’anno per i primi e di una ventina l’anno per i secondi (stime Eures - Centro ricerche sociali ed economiche).
Perché così spesso l’uomo, a differenza della donna, sembra non possedere mezzi per elaborare il disagio dell’abbandono se non quello di una disumana risoluzione?
Noi non siamo in grado di dare risposte. Possiamo solo fare ipotesi – trasfigurando con il linguaggio del teatro una realtà ben più sommessa – su questo percorso macabro dove le parole amore, odio e sangue sembrano rincorrersi all’infinito.
Ci interessa soffermarci su un orrore che rischia di trasformarsi in consuetudine con il consenso dell’indifferenza, quando dovrebbe invece attivare risorse e aiuti a prevenire il danno.
Il sospetto è che i modelli creati dalla nostra società, ivi compresi quelli maschili e femminili, siano in realtà così improponibili e inadatti alla natura umana da procurare un disagio che nel tempo, se non elaborato, conduce alla perdita di identità o all’alienazione mentale.
Ogni anno, solo in Italia, circa 600 adolescenti dai 18 ai 24 anni, in maggioranza maschi, si tolgono la vita (secondo la fonte Istat i dati ufficiali sono ampiamente sottostimati). All’uomo, in particolare, si impone fin dall’adolescenza un rituale di condotta tale da poterlo definire maschio, con tutte le forzature che intervengono a plasmare e modificare il suo microcosmo.
Da qui comincia la nostra storia. Che parte da molto lontano. Noi ipotizziamo dalle origini dell’essere umano.

Medeo è l’uomo contemporaneo.
O almeno è parte di esso.
È l’uomo che ha ereditato il dna dei suoi antenati, non dalle prime specie di ominidi, bensì da quella specie che ne rappresenterebbe l’evoluzione: l’homo sapiens. Il dna del modern humans è il medesimo dell’homo sapiens di 25.000 anni fa, e questo serve forse a motivare il perdurare di certi comportamenti sociali.
L’Homo sapiens, non pago d’aver stabilito la propria supremazia sul mondo animale e vegetale, trovò necessario imporla anche all’altro sesso – da cui sesso opposto/altro da sé, dovendo necessariamente porre – a sostegno di questa declamata superiorità - accanto ai privilegi, ferrei divieti:
- il divieto di mostrarsi deboli
- il divieto di manifestare dubbi e incertezze
- il divieto di commuoversi e di piangere
- il divieto di avere paura
- il divieto di qualsiasi forma di dipendenza emotiva

Nel corso dei secoli questi divieti hanno reso necessario il sostegno di un anticorpo che, da solo, ha sopportato l’impegno di tenere a distanza tutte le manifestazioni emotive considerate deplorevoli in un soggetto maschio.
Visualizziamo questo anticorpo come un’entità che, per potersi sostenere, si è nutrita della materia che lo conteneva fino a diventare esso stesso corpo, appropriandosi delle sembianze dell’essere che lo ha generato.
Ora che questo anticorpo non ha più solo la funzione di filtro ma deve anche affrontare relazioni umane e quotidiana esistenza, il carico di divieti che ha imploso si è materializzato in una enorme tossina, che deteriora ogni relazione e agisce solo in funzione della propria sopravvivenza.
Ma la solitudine di questa condizione è così lacerante da riesumare in questa entità una primordiale forma emotiva: il dolore.
E’ così che il dolore genera una violenta, fisica determinazione a scuotere la falsa realtà che lo sostiene. L’unica possibile salvezza è la distruzione di questo corpo e la riconquista di una purezza originaria priva di limitazioni.
Distruggere questo corpo significa semplicemente far esplodere ciò che ora è imploso, con il prezzo doloroso che la deflagrazione simultanea di queste emozioni provocherà nell’ambiente e nelle relazioni.
Nel riappropriarsi di autonomia, identità e libero arbitrio, si transita attraverso un buco nero di immoralità e violenza; nel rifiuto delle manipolazioni e nella liberazione del dolore l’uomo sconterà il confronto con nuove ferite: fragilità, paura, abbandono.

Non è una riscrittura della Medea di Euripide.
Qui MeDeo riflette da una parte la figura dell’uomo sopraffatto dal dolore che si accosta al gesto estremo di violenza infanticida.
Con pudore, incredulità e rabbia egli rivela ciò che troppo a lungo – dissimulando – ha occultato, forse come tardiva richiesta di aiuto, forse di remissione.
Dall’altra MeDeo è l’uomo che ancora si dibatte, che cerca responsabilità e risposte al suo stato di creatura impotente in balia del più orrendo pensiero di morte.
Egli esprime il rifiuto per l’eredità dei padri, là dove il suo sesso fu rigidamente circoscritto al ruolo produttivo e riproduttivo; nell’auspicare la caduta della fallocrazia che ha prodotto solo una immotivata discriminazione e una profonda frattura tra i sessi, egli tenta la distruzione e ricostruzione di un corpo che per troppi secoli è rimasto immutato, raccogliendo su di sé la polvere della menzogna che ha ostacolato la ricerca della verità e alterato il senso dell’ esistenza, inducendo gli uomini a scelte nefande per l’umanità intera.
Se da una parte il MeDeo tragico si rivela in tono attonito e accorato, dall’altra MeDeo esplode in una ribellione fisica e verbale prossima all’autodistruzione; nella ricerca delle zone taciute e inesplorate del sé, rimescolerà nelle viscere intorpidite della propria anima che sputeranno tutto il sangue, tutto il veleno, tutto ciò che di estraneo si è annidato nel suo corpo.
Se conformarsi al modello “socialmente consigliato” ha prodotto questa degenerazione, l’unica soluzione è riappropriarsi con determinazione della propria identità, a costo di essere emarginato, escluso, additato.
E’ il prezzo necessario per ritrovarsi, e per salvare gli altri da sé.
Perché non basta affermare che i mostri non sono mai esistiti, a liberare la società dall’orrore.






SABATO 10/11 h.22.30 - TEATRO FURIO CAMILLO

Francesca B. Vista
? Un solo collettivo
Coreografia e regia di Francesca B. Vista. Con Francesca B. Vista, Gabriella Bove, Gabriella Huober, Giuseppe La Regina, Luca Della Corte, Alessandro Amoroso.
Sotto l’involucro carnale palpitano molti più esseri non dico che in un gioco di carte ancora chiuso nel suo astuccio, o in un teatro prima d’entrarvi, ma nella folla immensa e sempre nuova (Proust).

UBU SETTETE - 9/11 - IV SERATA





VENERDI' 9/11 h.21.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Kymèia Compagnia Danza
Echi ridondanti di ricordi
Ispirato a la Torre Nera di S. King. Regia di Genni Cortigiani. Con Valerio Bellini.
Ispirandosi agli scritti del romanziere americano S.King e ai suoi allucinati e allucinanti personaggi, Kymèia mette in scena un piccolo percorso di miserie umane utilizzando uno stile di danza urbana (hip hop).


Kyméia Compagnia Danza si costituisce nel febbraio del 2005 all’interno dell’Associazione Culturale Laboratorio Amaltea, con l’intento di incentrare il suo lavoro sulla drammaturgia di danza abbracciando e coinvolgendo stili e discipline artistiche diverse. La diversità come completezza, la diversità come ricchezza.
Kyméia dal greco-bizantino “mescolanza” vuole essere un posto, una opportunità di espressione, un percorso di continuo scambio.
La Kyméia compagnia danza debutta con due piece:3 Abat-Jour e X & Antoine curate rispettivamente da Stefania Picchietti e Genni Cortigiani. I due lavori segnano la prima tappa di questo percorso.
2-3 Giugno 2005 debutto del primo studio di X & Antoine (durata 35 m.) presso il Jack and Joe Theatre di Cerbaia (Fi)
17 Settembre 2005 X & Antoine partecipa al Festival City Hide Projet all’interno della Notte Bianca a Roma.
2-3-4 Marzo 2006 versione completa di X & Antoine Teatro Lux - Pisa all'interno della rassegna "La casa delle storie"
8 Aprile 2006 X & Antoine Teatro Antoniano - Lecce rassegna FIORIdiTESTA nuova coreografia d'autore 2006

Valerio Bellini
Danzatore ed insegnante di Hip Hop, diplomato CRUISIN dopo anni di studio con Marisa Ragazzo e Omid Ighani.
Vince numerosi premi e riconoscimenti partecipando a concorsi e contest di Hip Hop.( nel 2000 campione nazionale di Hip Hop categoria esordienti FIDS).
Approfondisce la conoscenza della danza studiando classico con Marina Van Hoecke, modern jazz con Arianna Benedetti e contemporaneo con Chelo Zoppi.
Studia tecniche teatrali con il gruppo Arti Sceniche Arts Nova.
Danza nella Compagnia Hip Hop “Impronte” diretta da Endro Bartoli, nella compagnia DaCru diretta da Marisa Ragazzo e collabora con la Kyméia compagnia danza per la produzione “X & Antoine”.
Insegnante di Hip Hop presso il Centro Danza Chianti diretto da G. Cortigiani e conduce stage di Hip Hop e Videodance.
Inizia con il danzatore Massimo Pierini una esperienza sul contact e tecniche improvvisative e performative.

www.illaboratorio.org/KYMEIA.htm







VENERDI' 9/11 h.22.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Babilonia Teatri
Underwork
Drammaturgia e regia di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani. Con Valeria Raimondi, Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Luca Scotton.
Spettacolo precario per tre attori tre vasche tre galline. Underwork non ha nessuna pretesa informativa sul tema del lavoro precario. Non condanna, non spiega, non dà soluzioni. Cosa c’è da spiegare, quando nulla ha più senso.

siamo al verde/verde speranza/verde rabbia/verde muffa/
bianco rosso e verdone
Lo spettacolo Underwork non ha nessuna pretesa informativa sul tema del lavoro precario. Non condanna, non spiega, non dà soluzioni. Fotografa una situazione di incertezza.
Cosa c'è da spiegare quando nulla ha più senso.
ce n'è lavoro ce n'è
lo dice la legge lo dice chiaro
la legge 30
la legge biagi
precari non ce n'è
atipici nemmeno
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
è un tempo di mezzosiamo a molloannaspiamosiamo a mollofacciamo l'idromassaggiosiamo a mollostarnutiamosiamo a mollobeviamo cocktailsiamo a mollocome al marecome nella pancia della mammacome chi non sa nuotare

Babilonia Teatri è per un teatro popper un teatro rockper un teatro punk
2006 finalista del Premio Scenario Infanzia con Panopticon Frankenstein spettacolo sul mondo del carcere2007 con made in italy vince l’undicesima edizione del Premio Scenariocon Panopticon Frankenstein vince Piattaforma Veneto (Operaestate Festival Veneto)
debutta underwork spettacolo precario –tre attori tre vasche da bagno tre galline-Babilonia Teatri provaal Teatro dell’Angeloa Vallese di Oppeanoa fianco alla pizzeria la busa




Per Informazioni:
Babilonia Teatri via Parrocchia, 43
37050 Isola Rizza, Verona 045 7135191/ 6310180 349 1323403
info@babiloniateatri.it
www.babiloniateatri.it

giovedì 8 novembre 2007

UBU SETTETE - 8/11 - III SERATA





GIOVEDI' 8/11 h.21.00 - TEATRO FURIO CAMILLO


Teatro dell’Esausto
Foie-Gras. Oratorio II
Drammaturgia e regia di Alessandro Raveggi. In scena Anna Destefanis e Giulia Vannozzi. In video Tommaso Gabbrielli, Alessio Nieddu, Alessandro Raveggi.

FOIE-GRAS: la farcitura prima del matrimonio. Una natura morta vivente che studia il rapporto tra il teatro di
linguaggio e l'installazione scenica. Parliamo di una donna, controllandola attentamente, o forse tre, tre spose
Mami, Tosca e My Lady, in attesa dei loro futuri mariti, eroi della patria, impegnati nella loro ennesima missione di peace-keeping. Matrimoni, Patrimoni, Mercimoni, dunque. Ci troviamo in un parco, su di una panchina, nel verde, tergiversiamo tra il serio e il faceto, tra moralismi e gossip, violentando col linguaggio... Pratiche innaturali che si mimetizzano nella natura. Dove? I parchi pubblici delle grandi città, i giardini privati delle grandi città, gli attici delle grandi città. La loro esportazione della democrazia…
Un uomo non può sposarsi senza prima aver studiato l’anatomia e sezionato almeno una donna, scrive Balzac. In attesa di sposarci, di sposare definitivamente le nostre idee, ci troviamo in un parco pubblico, diffrazione di un giardino privato, effrazione di un grande attico privato, dove sta la donna, Lei, un ‘lei’ declinato per tre (Mami, Tosca, My Lady), bersagli di uno svuotamento di questo voyeuristico agone linguistico che non porta da nessuna parte. E non deve portare. Perché si parla della nostra Cultura/Culture/Kultur domestica, seducente, e in fin dei conti asessuata, da quel luogo non-luogo di un Noi fatto di macchiette, status symbol e dunque non-personaggi, simulacri intenti a vivi-sezionare gli oggetti o meglio l’oggetto del desiderio. Mentre qualcuno, altrove, lontano-lontanissimo, Lui, anch’esso declinato al plurale, si sente come-a-casa nella sua missione om-bellica-le: il farsi (del)la guerra come esportazione e spaccio della democrazia, il parco giochi del proprio divertimento, col prezzo del biglietto sempre più alto. Un foie-gras: la farcitura prima del matrimonio, le nozze con i fichi secchi, come nel rito egizio. Un paté di linguaggio dove non si risparmia nessuno, Walter Pater, Courtney Love, il teatro di narrazione, la politica del buonismo, il post-femminismo, Platone, passati al tritacarne più che al setaccio. Carne in scatola, nuovamente resa simbolo, poi filtrata in serigrafia pop, e così via. Parliamo quindi del matrimonio, del patrimonio, del mercimonio: di madri, di padri, di merci. Della loro circolazione all’interno, nel confine e fronte interno, di un linguaggio occidentale aguzzo, tagliente, baroccamente crudele. Chi intende ingannare e non essere ingannato deve per forza conoscere con esattezza la rassomiglianza e la differenza delle cose. Questo significa sentirsi come-a-casa...

“Una volontà comune, non proprio un fato, dotata di buon senso illuminato, che sa a sua volta che, per esempio, un lavavetri ti lascerà sempre un disgustoso rivolo di acqua sporca che scivolerà spudorato sul lato destro del tuo vetro anteriore. Insegnando, quindi, che è sempre bene lasciare cadere sulla sua mano una somma inferiore a 20 centesimi, spacciandoli per 50. Oppure, più divertente, un penny...” (dal testo)

“Chi appare sulla scena non è al suo posto. Ha il diritto di sentirsi come-a-casa perché la “casa” sembra non essere mai esistita. Siamo davanti ad un sipario chiuso usato - come schermo - in preda a un burattinaio malato di zapping. Nel continuo scarto il soggetto viene diffranto... Un non luogo, un’allotopia in cui prendono posizione personaggi-non personaggi, vagamente e parossisticamente riecheggianti figure appartenenti all’immaginario collettivo. Al centro della scena la donna, universo femminile uno e trino - scomposto in tre caratteri...
Un progressivo e costante processo di “distrazione” che diverge lo sguardo dalla luce più familiare dell’oggetto al fine di inquadrarne un profilo ulteriore” (dall'introduzione al testo in “QUAD. antologia di drammaturgie contemporanee a cura di Graziano Graziani e Giulio Marzaioli. edizioni “La Camera Verde”)







GIOVEDI' 8/11 h.22.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Menoventi
In Festa
Regia di Gianni Farina. Con Alessandro Miele e Consuelo Battiston.

“Solo di quando in quando, / in certe interminabili sere, / un’occhiata dall’altra parte, / alla finestra illuminata / dove vivono altri, / e la vaga sensazione / di essersi persi qualcosa.” (H.M.Enzensberger).

Manca qualcosa.
Cosa? Non si sa, ma la consapevolezza di questo è già qualcosa, no?
Questa festa è il tentativo, estremo ed inconsapevole, di colmare un vuoto; è la ricerca di un semaforo sempreverde; è la soppressione liberatoria di un disagio inesprimibile.
Questa festa è forte e decisa come una stretta di mano, ma qui sorge un dubbio: decisa da chi?
Un cinico Semaforo incombe sulla scena ed il Campanello, tremendamente puntuale, eppure tanto gentile, attraverso biglietti di amici cari e bei regali colorati, mantiene l’ordine delle cose con minuzioso interesse.
Gli ospiti tanto attesi sono incompleti, mancanti: a volte entra una mano da stringere, una spalla su cui dare pacche amichevoli, due guance da baciare: l’essenziale. Per loro si compie il rituale della barzelletta, si innalzano torri di biscotti, si sacrificano piatti innocenti.
E quando meno te lo aspetti, dall’ombra, sussurrando, affiorano pensieri, dubbi, ricordi.

“Ma tu non te ne avvedi,
Tu dici:
io apro gli occhi e vedo quello che c’è.”

GENESI DI UN PROGETTO
Autoprodotto, non commissionato e spontaneo come un rutto, IN FESTA procede lentamente per la sua strada, ignaro dei tempi imposti dal mercato; ancora oggi lo consideriamo strutturato ma aperto.
Questo lavoro, iniziato nell’Agosto 2004, nasce dall’esigenza di esplorare una sensazione non chiara, indefinibile a parole, che si avvicina ma non si esaurisce nel concetto di vuoto.
La messa in scena di tale nebuloso concetto chiedeva a gran voce chiarimenti, esemplificazioni, simboli concreti.
E’ così che si sono evidenziati alcuni aspetti di questa vaga sensazione di disagio: l’impressione di un controllo esterno sulle nostre azioni; l’impossibilità del cambiamento se non si rompono i legami con la realtà artificiale in cui siamo immersi; il bisogno di profondità, di silenzio, di inazione, di amoralità necessario per percepire l’ombra nascosta delle cose.
Tutto questo non è mai dichiarato o detto esplicitamente. Si avverte chiaramente però, che nella vita delle due figurine al centro della storia, qualcosa non va; che magari si è riso delle strane coincidenze che li perseguitano, ma non c’è proprio niente da ridere; che il calore dei personaggi, in cui forse ci riconosciamo, è generato da una fiamma fredda, freddissima,
a –20°.

RIFERIMENTI
Il linguaggio utilizzato per raccontare una storia semplice ed essenziale, che ripercorre a tratti il plot de “Le sedie” di Ionesco, è in continuo mutamento. Dopo una prima parte rarefatta, sospesa, che allude ad un quotidiano impossibile e la cui atmosfera richiama le visioni di De Chirico, il ritmo dello spettacolo aumenta, passando dalle invocazioni dei personaggi a quelle di Beethoven, fino al momento topico, la festa: una esplosione visiva più vicina ad una tela futurista, freneticamente sostenuta dal suono rivelatore dei Radiohead.

mercoledì 7 novembre 2007

UBU SETTETE - 7/11 - II SERATA





MERCOLEDI' 7/11 h.21 - TEATRO FURIO CAMILLO

Decadi - studio sull'umana fragilità
di Manuela Giovagnetti. Con Marco Sabatino e Manuela Giovanetti. Musiche originali di Simone Pappalardo. Disegno luci di Riccardo Frezza

Volontariamente impacciati raccontiamo, adulti con forze infantili, l’imbarazzo di essere cresciuti rivoltandosi, dispieghiamo le ali del nostro spazio emotivo, gridiamo, nonostante tutto, la purezza e la crudeltà del nostro amore.






MERCOLEDI' 7/11 h.22.15 - TEATRO FURIO CAMILLO

Gloriababbi Teatro
Un Amleto
Da Shakespeare. Adattamento di Mauro Pescio. Regia di Mauro Pescio e Giulia Valli. Con Mauro Pescio.

Ho messo al centro me stesso come uomo, prima che come attore, nel tentativo di farne uno specchio nel quale guardarsi riflessi in silenzio. E in solitudine.

venerdì 2 novembre 2007

UBU SETTETE - 6/11 - I SERATA





MARTEDI' 6/11 h.21 - TEATRO FURIO CAMILLO

Ceci n’est pas… (Don Chisciotte)?
Del gioco preparatorio per un epilogo che darà un senso a tutto questo

di Giovanni Magnarelli

Una mosca in una scatola. Cerca di muoversi, deve andare, dove? Schianti di un corpo contro un altro corpo. Cadute. Ri-cadute. Il corpo in tutta la sua forza è fragile come niente. Si scade nell’epopea del quotidiano? E’ un rischio. Troppi oggetti, la scena è ingombra, il rischio è maggiore. Di farsi male. Gli stessi oggetti, combinazioni di immagini, desideri, malìe. Canto di sirene sdentate.
Moti azzardati di ribellione. A cosa? All’essere lì, qui, ovunque si sia. Dove? Non è una testa. Non è un testo. Né un pretesto. La solita gabbia. Ma è come se non avessimo detto nulla. Si parla, si grida ai mulini che macinano impassibili il nostro tempo. Esempio di cosa dire (e fare) per non dire (e non fare). Si parla come dimenticando la parola precedente. Ringhio mugghiante è il Don in tutta la sua follia, o come chiamarla. Desiderio. Ribellione stitica.
La parola è un corpo che si scuote. Tristo sonaglio arrugginito dal sangue. Dalle lacrime trattenute. E dal tempo. E’ tutto dopo. E’ nel si sarebbe stati che si sarà stati, almeno questo, gli orizzonti tramontano in altri orizzonti, spariscono. La scena cambia ma si è sempre lì. Sempre gli oggetti accatastati alla rinfusa che fanno credere in panorami, nuovi orizzonti. Gli attori (maghi incantatori artigiani) entrano ed escono, poi rientrano dopo aver smontato e rimontato. Creano malìe con oggetti e parole di scarto. E’ questa la gabbia più dura. La mosca batte e ribatte… dopo un po’ ci si impressiona, moto successivo a un riso trattenuto dal sospetto che, forse, non c’è niente da ridere. Niente. E’ tutto finto. Palesemente. Dal primo all’ultimo orizzonte. O è sempre lo stesso? Si rincorre la sua scomparsa, un segno della sua esistenza. Dove e come. Senza perché. Poi si muore. Senza raccontarsela, perché non si può. Ho cercato di smontarlo, il Don, distruggerlo, cancellare il suo passaggio in una trama spezzata, lui che già nacque da uno sterpo secco che sembra un romanzo ma che sono ceneri dal quale rinasce ogni volta, nonostante le lungaggini, i refusi, le approssimazioni, ho provato e riprovato ma alla fine mi è spuntato fuori da quella pira di oggetti nella quale ho cercato di inumarlo. In un alba salta fuori, proprio alla fine, per la sua prima uscita. E’ il principio, solo l’inizio dell’ennesimo tramonto. Del resto… si taccia. Valga anche per questo atto relativo al tentativo di ridire. Non c’è niente da ridire. Fine.

Miguel De Cervantes, nella prefazione al suo romanzo, definisce la sua opera uno sterpo secco (in realtà è una pianta di sparto, il lavoriò della memoria si fa sentire), volendo dare ad intendendere con questa definizione, la fragilità di una struttura continuamente sul punto di crollare, colma com’è di lungaggini, interpolazioni, refusi, dimenticanze, tirate infinite sull’arte, l’amor, il mestiere della guerra, nelle quali spesso si può arrivare a rimpiangere la pedanteria provinciale del curato e del barbiere. Sono loro ad aprire questo attentato (lo spettacolo) al buon Alonso Chisciana, o Quesada, insomma, di questo tale incerto, innominabile, non identificabile, vissuto in un paese dal nome altrettanto sfuggente. E’ lui il protagonista del mio spettacolo, così come è lui il protagonista del romanzo. E’ il filo delle sue emozioni che ho seguito nella lettura, che vanno dallo scoramento più nero, all’esaltazione epica, dalla follia più sconsiderata all’equilibrio estremo di un uomo che conosce la vita e il mondo. Nel mio spettacolo però è stanco, è già stanco (o forse morto) a partire dal principio, che forse è un post romanzo o un pre o un post post romanzo di Menardiana memoria (sempre e comunque un tentativo
… un balbettìo… ecco la definizione). Non conosce, e non ha possibilità di farlo, quel mondo, quello che gli gira veramente intorno, a sua insaputa. Può solo subirlo, patire il suo “così dev’essere”. Senza epica (che forse non è più possibile), che è anch’essa smontata, avvilita, distrutta dall’inizio alla fine. Non si va oltre un certo limite, a volte sembra quasi che… niente… una testa cade, un corpo rovina al suolo pesantemente, parole cadono come sassi, da un Picco Povero a un termine angusto. E’ sempre un corpo scosso dall’esterno e dall’interno, nel tentativo di ridire, inveire, ribellarsi, al suo stato, allo stato delle cose, ai suoi nemici incantatori che lo governano nonostante sé, nonostante la sua volontà sterile, il suo fuggire sulla luna alla ricerca della sua ragione, o sragione, nonostante il suo sbraitare alle stelle. Non c’è nulla di certo. La scena è fragile, uno sterpo secco che a malapena sembra star su, ma dal quale, per brevi istanti, sboccerà, nonostante tutto, l’illusione. Corde malmesse su carrucole arrugginite, cigolanti, oggetti rimediati, raffazzonati, spade di cartone, lance in frantumi, nemici fittizi. E’ una lotta che è tutta dentro. E’ il dormiveglia in punto di morte del buon Alonso, di lì a poco rinsavito, prima della fine, che si scopre solo, abbandonato a se stesso da un cielo troppo lontano, che sogna di raggiungere con una semplice scala. Non c’è spazio per la fantasia… anche se tutto si ricrea, o tenta di farlo, di continuo, anche se si cambiano mondi paesaggi scene, di continuo, nello stesso luogo. Vi si entra e vi si esce, da quel luogo, che si fa spazi, e dall’interpretazione degli attori… ogni scena, avventura, disavventura, è una didascalia del romanzo in cui si avverte il lettore di quello che sta per accadere, che poi accade. Si costruisce, e lo si fa vedere, qualcosa in cui o attraverso il quale dovrà accadere qualcosa. E’ tutto davanti agli occhi. La realtà e quelle possibili tutte insieme, così insieme che non possono che finire confondendosi, accavallandosi, celandosi una dietro all’altra, lasciando fratture, buchi, spazi bianchi tra le righe nei quali (come nel romanzo cigolante) si infila un Don Chisciotte, sempre quello, che lotta a vuoto contro un mondo che esiste solo per lui. Lui ne esce vincitore, come sempre. Non c’è attentato che tenga. Ti sbuca fuori quando meno te lo aspetti con tutto quello che non potrà mai perire e che viene dalla semplice volontà di credere, cercare differenti approcci, visioni. Don Chisciotte aleggia, malgrado il francesismo del titolo (citazione di una pipa che non è una pipa, aleggia greve e leggero come la pipa più grande nel cielo della pipa più piccola, Immagine dell’immagine) nonostante me e le attrici impegnate con me medesimo a massacrarmi, dall’inizio alla fine: loro cercano di spremere da me un Don Chisciotte, e io cerco (e ho cercato) di smontarlo come si fa con una radio o un giocattolo, scoprendo che dentro non c’era niente di magico, non un segreto arcano, niente di profondo… e allora? Come fa a vivere e a lottare quel cavaliere che in un alba (o forse è già un tramonto?) decide di uscire, in cerca di avventure?

E Sancho? Sancho è testimone, complice del suo signore e delle persone che si prendono gioco del cavaliere, alternativamente credulo e incredulo, furbo e stupido, saggio e stolto. Sancho è uno come tanti che cerca di afferrare quello che gli scorre davanti, intorno, dentro e fuori. Sancho guarda con gli occhi degli spettatori, ma loro non lo sanno. Tracce di Sancho si intravedono nei due loschi figuri (attori), che massacrano il Don, solo per prendersi un’oretta o qualche millennio di svago.
Liquidato.

Quanto ai loschi figuri: il gatto e la volpe che giochicchiano con un Pinocchio ormai vecchio delle tante storie, che somglia a un Chisciotte inventato, riscritto (o forse è un nessuno che impazzisce e crede di essere Don Chisciotte della Mancha?) e massacrato da questi due strani personaggi che a volte ci ricordano gli stessi Don Chisciotte e Sancho Panza. Che questa non sia altro che una loro avventura? Don Chisciotte esce in un’alba alla ricera delle sue avventure, insieme a Sancho Panza, con l’intento di scrivere sul libro della Fama il proprio nome, nei secoli dei secoli, amen. Quel senso che cercano di dare a questa tortura è proprio quell’ultima cavalcata che ci regala il Don Chisciotte (l’illusione) per un istante, in tutto il suo splendore secco… poi la testa cade… il buon Alonso è rinsavito e può morire in santità… ma il Don è già lontano… cavalca l’eco dell’ultimo acuto, dopo il buio.

Quelle che vi presentiamo sono le nostre avventure, nella preparazione di un epilogo, solo per quello, che in sé racchiude tutto un sentire legato alla lettura di un romanzo. La musica è conosciuta. Ma credo ne esca fuori arricchita anch’essa, da quest’esperienza. Non il racconto della storia dell’ingegnoso Hidalgo. Non avrebbe alcuna valenza per me. Quella è già stata raccontata, meravigliosamente, nonostante lo sterpo secco.

Mi racconto una storia che mi piace, una fiaba. Me la racconto come mi pare, come mi piace, consapevole del fatto che questa (la fiaba) rappresenta per me qualcosa di indispensabile. Senza queste fiabe, la realtà non avrebbe modo di esistere. In queste ore, in questi giorni ... mesi ... di estrema solitudine, ho covato il frutto che qui mi presento e che ho abbellito con i miei sogni, con gli incubi, con l’ingenuità di chi si aspetta troppo da tutto. Don Chisciotte. Chi è Don Chisciotte? Un povero cristo insignificante che soffre e gioisce (attraversando tutte le sfumature tra questi stati d’animo) per non voler credere come credono gli altri, i “Non Chisciotte” ... o meglio ... non è negativo ... per voler credere a quello in cui crede. Estremamente semplice. Elementare. Qualcuno dirà: addirittura banale. E’ proprio per questo che è difficile. E proprio perché la gran parte di chi vive non ha mai avuto la possibilità di credere in quello in cui vuole credere. Se non si ha la possibilità di conoscere ed apprezzare la banalità, si può correre il rischio di viverla. O di essere vissuti da questa. Storie d’altri, desideri estranei, inesistenti, inutili, che assurgono al rango di prime necessità dal giorno in cui si nasce al giorno in cui si muore. La voce del nostro desiderio, quella delle nostre necessità, quella del nostro io unico e irripetibile è soffocata dalle mille voci che ci circondano, assordandoci; ci hanno addirittura inculcato il diritto all’informazione, che non fa che rincoglionirci ogni giorno di più, o svuotarci di emozione, affamati sterili di nuovi eventi, sempre più grandi, sempre più catastrofici, dosi sempre più massicce di una droga che ci passano gratis (apparentemente), succhiandoci la vita. E la possibilità di viverla nei tanti altri modi in cui la si potrebbe vivere. Qualcuno si chiederà: detto questo ... cosa c’entra Don Chisciotte? Niente. Don Chisciotte vive qui. In questo luogo in cui state per entrare, per una sola sera, senza che io o qualcun altro possa farci niente. Vive da sé. Ho cercato di smontarlo, distruggerlo, soffocarlo sotto discorsi miei, false trame, falsi teatrini, oggetti raccattati qua e là e schianti su schianti e alla fine ... no ... non alla fine ... è un filo ... un filo che mi attraversa, ci attraversa (o perlomeno che attraverserà chi vorrà crederci, chi sarà ancora abbastanza ingenuo o entusiasta da non chiudersi nel sottovuoto di osservazioni sovrastrutturate) e che ci accompagna alla riscoperta di quei paesaggi tutti nostri, diversi da un individuo all’altro (ma alla base sempre gli stessi): orizzonti, assenze, silenzi, tranquillità, realtà in perenne movimento che non ci chiudano in un “il mondo è così!” E’ tutto palesemente finto. Sfacciatamente finto. Dovrebbe ricordarci qualcosa. C’è un uomo inconsapevole che soffre, vissuto da qualcosa e che soffrendo prende coscienza della sua sofferenza e si ribella, è la sua follia, la sua ultima fuga, prima della morte, prima dell’ultima cavalcata, la prima uscita del Don. Da qui inizia il Don Chisciotte di Pierre Menard, o del primo che l’ha scritto, pensato, sognato, che si perde nella notte dei tempi. Proprio alla fine esce per la prima volta. Ma l’aria nei polmoni fa male. E il sole è troppo grande. La strada è lunga. E lui si sente già stanco. Come scrisse qualcuno contornato di silenzi: ha respirato, per la prima volta… rantolerà. Tutto si costruisce e va disgregandosi di continuo, appena il tempo di registrare, vedere per qualche secondo, un’immagine, un paesaggio (dentro o fuori) e tutto si consuma, viene smontato. Stessa sorte per l’interpretazione: si entra e si esce. Gli attori montano la scena, di continuo la muovono, poi fanno il loro lavoro e smontano di nuovo montando la successiva. Sono maghi incantatori artigianali, grezzi, lavorano con incantesimi (pezzi) di scarto. Si oscilla dall’illusione (teatrale) al meccanismo scoperto, e il gioco teatrale, la finzione, l’illusione, non perde in nulla, anzi, ne risulta sottolineata a doppio tratto. Così come il Don del romanzo oscilla dal buon senso e dal comprendonio alla follia allucinata che vede ciò che vuole sempre, anche quando gli altri tutti negano, anche quando la propria coscienza negherebbe se avesse voce in capitolo. Don Chisciotte è un corpo che rincorre la gogna del suo sognare. rincorre la sua fuga. Fugge e rincorre (forse si cerca). Rincorre l’orizzonte della sua scomparsa.
Dov’è? Lo vediamo esplodere fuori da un grande libro, quello che potrebbe sembrare Don Chisciotte, ma solo a sprazzi… ma forse non è lui. Non ha bisogno di tutto questo perché vive da sé, non ha bisogno di noi, ma forse è vero il contrario.

“… IL POVER’UOMO, CHE NON SE N’ERA ACCORTO, ANDAVA COMBATTENDO, ED ERA MORTO.” (L.Ariosto - Orlando Furioso)






MARTEDI' 6/11 h.22.30 - TEATRO FURIO CAMILLO

JULIE ACCYO
dedicato a Lucia Joyce
Ideazione e danza: Alessandra Giambartolomei
Julie Accyo, anagramma di Lucia Joyce, è un personaggio liberamente ispirato alla figlia del celebre James

LUCIA JOYCE
Lucia Joyce nacque a Trieste il 26 luglio del 1907. Dal 1922 Lucia iniziò a seguire lezioni di danza all'Istituto Jacques-Delcroze. Prima di abbandonare la danza, tra il 1926-29, prese parte a diversi spettacoli pubblici. Nel 1931 ebbe una breve relazione col giovane Samuel Beckett. L’anno successivo, nel giorno del cinquantesimo compleanno del padre, lanciò una sedia contro la madre Nora e trascorse diversi giorni in una Maison de Santé. Gli anni seguenti furono segnati da un crescente numero di episodi violenti e autodistruttivi, tanto da costringere il padre a farla visitare da numerosi specialisti (tra i quali, nel 1934, Gustav Jung) e con periodi sempre più ampi passati in internamento. Dal 1936 venne relegata in un sanatorio vicino Parigi, in cui Joyce andava a visitarla ogni settimana. Con l'inizio della seconda guerra mondiale, la famiglia Joyce si trasferì a Zurigo mentre Lucia rimase nel suo istituto nella Francia occupata.. Joyce morì prima di poterle assicurare un sicuro passaggio per la Svizzera e Lucia trascorse l’intera guerra in un sanatorio della Bretagna. Solo negli anni ‘50, grazie all'interessamento di un’amica di famiglia, venne portata in Inghilterra, dove trascorse il resto della sua vita fino all'anno della morte, il 1982.

JULIE ACCYO
L’assolo è dedicato a una danzatrice che concluse la sua carriera artistica appena poco dopo averla iniziata e non pretende di ritrarre il personaggio storico ma rappresenta solo un pretesto che ha consentito il predisporsi ad un ascolto evocativo.
Il lavoro ha come presupposto una personale ricerca sulla danza come disposizione all’ascolto, che ecceda la volontà, il progetto, l’urgenza del compimento in virtù di un “lasciare accadere”.
Julie è una creatura fragile, indefinita in cerca di una voce.

Alessandra Giambartolomei
alegiamba@libero.it