lunedì 24 settembre 2007

Biancofango all'Ygramul

Racconti in assenza di gravità
Teatro Ygramul, via N.M. Nicolai, 14 - Roma
25 SETTEMBRE 2007, h.21.3o
In punta di piedi
( testo finalista al Vesuvio Sport Opera)
Ideazione, interpretazione e regia: Andrea Trapani
Collaborazione alla drammaturgia e alla messa in scena: Francesca Macrì
Disegno luci: Mirko Maria Coletti
info e prenotazioni: 06412299513498677025

In punta di piedi è insieme un ritorno e un addio. Un adolescente e la sua città. Firenze. Bella di una bellezza rara, ma refrattaria al gioco e schiava della competizione per natura. Firenze che ama farsi guardare, ma mai che ri-guardi, se potesse, colpirebbe alle spalle tutti quelli che vorrebbero possederla. Troppe volte mi ha lasciato a bocca aperta, con una bestemmia in gola, ad annusare eleganza e poesia, a calciare più parole che palloni. A Firenze non esiste una sola parola che sia detta a caso: tutto ha un significato. Là, dove gli sguardi sono schiaffi, le parole non sono da meno. Ci si fa a botte. Ogni parola è una frustata, usata per far male, ogni discorso un combattimento in cui conta vincere e alla fine non importa darsi la mano. A Firenze, oltre a un'invettiva, voglio chiedere anche scusa e se avesse occhi per guardare vorrei che, almeno per una sera, fossero i miei.
Un adolescente e il calcio. Il calcio che qui non ha il profumo degli album di figurine, dello stringersi tutti insieme davanti alla tv quando gioca la nazionale, delle prodezze dei Maradona di turno che alleviano la fatica del vivere quotidiano. Ha l'odore delle partite nei piazzali sotto casa, con palloni sgonfi o lattine vuote, con i giubbetti a far da pali e le mamme che all'imbrunire si affacciano dai balconi per dire che la cena é pronta e che la partita l'avremmo finita l'indomani. E come spiegare loro che la partita non sarebbe mai finita e che saremmo stati in piedi tutta la notte pur di giocare? E' il calcio giovanile, quel piccolo limbo non ancora illuminato dai riflettori, quello che si gioca su campetti di terra secca, dove crescono pochi fili d'erba, dove se piove il fango diventa simile al mare e vi si può nuotare, dove i pochi spettatori sono i propri genitori.Io non ho mai saputo giocare a calcio, ma avrei tanto voluto saperlo fare. Ricordo un¹adolescenza sportiva passata a scalciare gli anni con la stessa forza con cui buttavo la palla in fallo laterale.Ero un difensore, un terzino destro, destinato per tutta la partita ad avere lo sguardo incollato alle spalle dell'attaccante e seguirlo "anche quando va a pisciare" come diceva il mio allenatore. Ma perché continuare a giocare se non si vuol giocare?
Così come i difensori di una volta avevano lo sguardo annebbiato dalle spalle degli attaccanti, in questo spettacolo mi sono nascosto dietro i fantasmi del mio passato. Ho cercato di non perderli, li ho marcati ad uomo, mi sono stupito ancora una volta del loro respiro, sono riuscito ad evitare almeno i tunnel e forse per la prima volta ho giocato la mia onesta partita.Solo adesso che il lavoro è finito, posso voltarmi e, con occhi liberi dal sudore e dalle immagini con cui a lungo ho palleggiato prima di lasciarle partire, mi ritrovo con un quadro vuoto, da riempire ogni sera e con un corpo che lotta fino all¹ultimo respiro perché non ne resti solo la cornice.

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