giovedì 8 novembre 2007

UBU SETTETE - 8/11 - III SERATA





GIOVEDI' 8/11 h.21.00 - TEATRO FURIO CAMILLO


Teatro dell’Esausto
Foie-Gras. Oratorio II
Drammaturgia e regia di Alessandro Raveggi. In scena Anna Destefanis e Giulia Vannozzi. In video Tommaso Gabbrielli, Alessio Nieddu, Alessandro Raveggi.

FOIE-GRAS: la farcitura prima del matrimonio. Una natura morta vivente che studia il rapporto tra il teatro di
linguaggio e l'installazione scenica. Parliamo di una donna, controllandola attentamente, o forse tre, tre spose
Mami, Tosca e My Lady, in attesa dei loro futuri mariti, eroi della patria, impegnati nella loro ennesima missione di peace-keeping. Matrimoni, Patrimoni, Mercimoni, dunque. Ci troviamo in un parco, su di una panchina, nel verde, tergiversiamo tra il serio e il faceto, tra moralismi e gossip, violentando col linguaggio... Pratiche innaturali che si mimetizzano nella natura. Dove? I parchi pubblici delle grandi città, i giardini privati delle grandi città, gli attici delle grandi città. La loro esportazione della democrazia…
Un uomo non può sposarsi senza prima aver studiato l’anatomia e sezionato almeno una donna, scrive Balzac. In attesa di sposarci, di sposare definitivamente le nostre idee, ci troviamo in un parco pubblico, diffrazione di un giardino privato, effrazione di un grande attico privato, dove sta la donna, Lei, un ‘lei’ declinato per tre (Mami, Tosca, My Lady), bersagli di uno svuotamento di questo voyeuristico agone linguistico che non porta da nessuna parte. E non deve portare. Perché si parla della nostra Cultura/Culture/Kultur domestica, seducente, e in fin dei conti asessuata, da quel luogo non-luogo di un Noi fatto di macchiette, status symbol e dunque non-personaggi, simulacri intenti a vivi-sezionare gli oggetti o meglio l’oggetto del desiderio. Mentre qualcuno, altrove, lontano-lontanissimo, Lui, anch’esso declinato al plurale, si sente come-a-casa nella sua missione om-bellica-le: il farsi (del)la guerra come esportazione e spaccio della democrazia, il parco giochi del proprio divertimento, col prezzo del biglietto sempre più alto. Un foie-gras: la farcitura prima del matrimonio, le nozze con i fichi secchi, come nel rito egizio. Un paté di linguaggio dove non si risparmia nessuno, Walter Pater, Courtney Love, il teatro di narrazione, la politica del buonismo, il post-femminismo, Platone, passati al tritacarne più che al setaccio. Carne in scatola, nuovamente resa simbolo, poi filtrata in serigrafia pop, e così via. Parliamo quindi del matrimonio, del patrimonio, del mercimonio: di madri, di padri, di merci. Della loro circolazione all’interno, nel confine e fronte interno, di un linguaggio occidentale aguzzo, tagliente, baroccamente crudele. Chi intende ingannare e non essere ingannato deve per forza conoscere con esattezza la rassomiglianza e la differenza delle cose. Questo significa sentirsi come-a-casa...

“Una volontà comune, non proprio un fato, dotata di buon senso illuminato, che sa a sua volta che, per esempio, un lavavetri ti lascerà sempre un disgustoso rivolo di acqua sporca che scivolerà spudorato sul lato destro del tuo vetro anteriore. Insegnando, quindi, che è sempre bene lasciare cadere sulla sua mano una somma inferiore a 20 centesimi, spacciandoli per 50. Oppure, più divertente, un penny...” (dal testo)

“Chi appare sulla scena non è al suo posto. Ha il diritto di sentirsi come-a-casa perché la “casa” sembra non essere mai esistita. Siamo davanti ad un sipario chiuso usato - come schermo - in preda a un burattinaio malato di zapping. Nel continuo scarto il soggetto viene diffranto... Un non luogo, un’allotopia in cui prendono posizione personaggi-non personaggi, vagamente e parossisticamente riecheggianti figure appartenenti all’immaginario collettivo. Al centro della scena la donna, universo femminile uno e trino - scomposto in tre caratteri...
Un progressivo e costante processo di “distrazione” che diverge lo sguardo dalla luce più familiare dell’oggetto al fine di inquadrarne un profilo ulteriore” (dall'introduzione al testo in “QUAD. antologia di drammaturgie contemporanee a cura di Graziano Graziani e Giulio Marzaioli. edizioni “La Camera Verde”)







GIOVEDI' 8/11 h.22.00 - TEATRO FURIO CAMILLO

Menoventi
In Festa
Regia di Gianni Farina. Con Alessandro Miele e Consuelo Battiston.

“Solo di quando in quando, / in certe interminabili sere, / un’occhiata dall’altra parte, / alla finestra illuminata / dove vivono altri, / e la vaga sensazione / di essersi persi qualcosa.” (H.M.Enzensberger).

Manca qualcosa.
Cosa? Non si sa, ma la consapevolezza di questo è già qualcosa, no?
Questa festa è il tentativo, estremo ed inconsapevole, di colmare un vuoto; è la ricerca di un semaforo sempreverde; è la soppressione liberatoria di un disagio inesprimibile.
Questa festa è forte e decisa come una stretta di mano, ma qui sorge un dubbio: decisa da chi?
Un cinico Semaforo incombe sulla scena ed il Campanello, tremendamente puntuale, eppure tanto gentile, attraverso biglietti di amici cari e bei regali colorati, mantiene l’ordine delle cose con minuzioso interesse.
Gli ospiti tanto attesi sono incompleti, mancanti: a volte entra una mano da stringere, una spalla su cui dare pacche amichevoli, due guance da baciare: l’essenziale. Per loro si compie il rituale della barzelletta, si innalzano torri di biscotti, si sacrificano piatti innocenti.
E quando meno te lo aspetti, dall’ombra, sussurrando, affiorano pensieri, dubbi, ricordi.

“Ma tu non te ne avvedi,
Tu dici:
io apro gli occhi e vedo quello che c’è.”

GENESI DI UN PROGETTO
Autoprodotto, non commissionato e spontaneo come un rutto, IN FESTA procede lentamente per la sua strada, ignaro dei tempi imposti dal mercato; ancora oggi lo consideriamo strutturato ma aperto.
Questo lavoro, iniziato nell’Agosto 2004, nasce dall’esigenza di esplorare una sensazione non chiara, indefinibile a parole, che si avvicina ma non si esaurisce nel concetto di vuoto.
La messa in scena di tale nebuloso concetto chiedeva a gran voce chiarimenti, esemplificazioni, simboli concreti.
E’ così che si sono evidenziati alcuni aspetti di questa vaga sensazione di disagio: l’impressione di un controllo esterno sulle nostre azioni; l’impossibilità del cambiamento se non si rompono i legami con la realtà artificiale in cui siamo immersi; il bisogno di profondità, di silenzio, di inazione, di amoralità necessario per percepire l’ombra nascosta delle cose.
Tutto questo non è mai dichiarato o detto esplicitamente. Si avverte chiaramente però, che nella vita delle due figurine al centro della storia, qualcosa non va; che magari si è riso delle strane coincidenze che li perseguitano, ma non c’è proprio niente da ridere; che il calore dei personaggi, in cui forse ci riconosciamo, è generato da una fiamma fredda, freddissima,
a –20°.

RIFERIMENTI
Il linguaggio utilizzato per raccontare una storia semplice ed essenziale, che ripercorre a tratti il plot de “Le sedie” di Ionesco, è in continuo mutamento. Dopo una prima parte rarefatta, sospesa, che allude ad un quotidiano impossibile e la cui atmosfera richiama le visioni di De Chirico, il ritmo dello spettacolo aumenta, passando dalle invocazioni dei personaggi a quelle di Beethoven, fino al momento topico, la festa: una esplosione visiva più vicina ad una tela futurista, freneticamente sostenuta dal suono rivelatore dei Radiohead.

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